
Estraneo anch’egli agli “ismi” contemporanei, estraneo alle mode dell’architettura moderna, Sverre Fehn architetto norvegese del dopoguerra ebbe un tardo riconoscimento soprattuto nel nostro paese.
Fedele al costruire nordico lo sviluppò con caratteristiche proprie e originali.
Accolse appieno gli stilemi del Movimento Moderno e fece parte di una sede staccata in Norvegia del CIAM. Tuttavia la sua poetica se ne distanziò essendo anche criticato di essere un architetto che non seguiva quei dettami del movimento moderno che prevedevano un tot. di metri quadri per abitante, un tot. di verde, un tot. di superficie calpestabile, un tot. di “aria”. Contrario, lo potremmo definire a quell’esasperazione funzionalista che invece aveva permeato di meccanicismo le poetiche propagandistiche di LeCorbusier. Negli ultimi anni contro il De-costruttivismo imponeva un Costruttivismo sapiente e ragionato.
Tutta la sua carriera la potremmo inquadrare come una dualità che non trova contraddizione e che tuttavia si illumina.
Da giovane fece un viaggio in Marocco che lo segnò per sempre, la sua differenza con il paese di provenienza da un punto di vista architettonico lo folgorò, tessendo una trama tra la tradizione primitiva della costruzione delle case, e la nuova architettura di Frank Lloyd Wright, di Mies van der Rohe di Le Corbusier.
“Oggi, visitare il Marocco per studiare l’architettura primitiva non è come viaggiare per conoscere cose nuove. In realtà non si fa che riconoscere. Come quando si guarda la casa di Frank Lloyd Wright a Taliesin: un’entità frammetata i cui materiali hanno la stessa durezza. Anche i muri di Mies van der Rohe devono essere così. Lo stesso carattere sconfinato. E pure le poesie dei giardini pensili di Le Corbusier, nel piano urbanistico moderno….” si legge in un suo scritto. Un ponte tra l’architettura moderna e l’architettura primitiva in cui ogni elemento fa la funzione per la quale è stato inventano, ecco che a scanso di facili alterazioni stilistiche, un muro è un muro, un tetto è un tetto, un albero è un albero. Non ci sono maschere in Fehn ogni elemento architettonico trova la sua collocazione e non si “nasconde”.
Il Marocco gli fece scoprire anche il grande potenziale della luce e delle ombre nel costruire. Egli infatti affermava: “Se costruisci in Grecia, è la luce stessa a creare la tua architettura. Basta graffiare il marmo con un’unghia, che il graffio rimane visibile, mentre quassù, sotto la luce nordica, non lo sarebbe affatto. Tali fattori fanno sì che il nostro mondo architettonico non abbia ombre”. Sapientemente riportato alla praticità questo concetto lo si trova palesemente espresso nel Padiglione dei Paesi Nordici alla Biennale di Venezia (fig.1,2,3) in cui Fehn “trasporta” l’atmosfera nordica all’interno del padiglione.
Fig. 1 Padiglione dei paesi nordici. Venezia
Biennale. Interno
.Fig. 2 Padiglione dei paesi nordici. Venezia Biennale. Particolare interno
.Fig. 3 Padiglione dei paesi nordici. Venezia Biennale. Interno.
Con una struttura semplice ma per nulla banale (fig.4), a L su due lati, il mastro inventa una copertura che filtra la luce “sovrabbondante” della laguna, e la trasforma in una luce diffusa, omogenea “nordica” potremmo dire.
Fig. 4 Padiglione dei paesi nordici. Venezia Biennale. Pianta.
Anche nel sostizio estivo in cui l’incidenza del sole è massima e le ombre sono più corte la copertura, costituita da travi sovrapposte in calcestruzzo a viste spesse 6 cm e poste a taglio, impedisce ai raggi di penetrare in maniera diretta all’interno del padiglione. La luce diffusa permette anche alle opere esposte di essere viste senza luce diretta del sole, tuttavia in molte biennali d’arte contemporanea molti “artisti” o cosidetti tali, preferiscono invadere questo spazio con opere che non solo non rispettano l’architettura, ma la stravolgono, coprendola con il loro ego artistico sconfinato.
Nel padiglione alla Biennale veneziana, vi è anche espressa un’altra dicotomia tanto cara a Sverre Fehn, il rapporto con la natura. Natura e costruito, uomo natura, antropico e naturale, gli alberi all’interno del padiglione sono stati preservati, si è bucato il soffitto lasciando che i tre tronchi fossero gli unici protagonisti verticali dell’ampio spazio espositito: la natura viene preservata ma inglobata nel costruito. Fehn è consapevole che “..noi modifichiamo, danneggiamo la natura nel momento stesso in cui camminiamo sull’erba, muoviamo col piede le pietre, così lasciamo una traccia a quelli che verranno e questa è già architettura.” Un rapporto controverso quello dell’architetto con la natura, una contraddizione che ancora una volta non si risolve ma come dice Simon Weil: “Quando una contraddizione è un vicolo cieco che è assolutamente impossibile aggirare, se non con una menzogna, allora sappiamo che in realtà è una porta. Bisogna fermarsi e bussare, bussare, bussare, instancabilmente, in uno spirito di attesa insistente e umile. L’umiltà è la virtù più essenziale nella ricerca della verità.” Lo dice bene Fehn quando afferma che “l’intelletto incontra il paesaggio e dal loro duellare scaturisce la bellezza”. La bellezza è la “porta” di Simone Weil cui bisogna incessantemente bussare con pazienza e umiltà.
Il modo di progettare di Fehn è innanzi tutto poetico, gioco di opposti, di dualità, e ad esso si riconduce anche il suo rapporto con la storia e conseguentemente con le “cose morte” di cui lui parla. Le sue opere maggiori sono state i musei e le abitazioni singole, raramente ha progettato quartieri o grandi edifici. In un suo primo progetto per un crematorio a Larvik in Norvegia (fig. 5), Fehn ci presenta un’architettura fortemente simbolica, quasi parlante.
Fig. 5. Progetto per il crematorio di Larvik in Norvegia.
Un muro divide il progetto posto su un piccolo avvallamento, dal mondo del quotidiano al mondo silenzioso e muto della morte. Il muro diventa metafora del passaggio, da un lato c’è la vegetazione dall’altro il deserto. Un progetto particolare molto evocativo rimasto purtroppo sulla carta che già all’inizio della carriera del nostro architetto ci presenta un progettista maturo. Il rapporto con la storia, si diceva è sapientemente espresso nel museo Arcivescovile di Hamar (fig. 6,7,8,9).
Fig. 6 Museo arcivescovile di Hamar.
Fig. 7 Museo arcivescovile di Hamar. Particolare rampa
.Fig. 8 Museo arcivescovile di Hamar. Prospetto particolare
.Fig. 9 Museo arcivescovile di Hamar. Interno.
Il sito era sui resti di scavi archeologici sui quali era stata edificato una costruzione rurale, rispettando lo storico edificio Fehn ci introdue in una “promenade architecturale” che ha la forma di un viaggio-racconto della storia. I musei sono luoghi in cui si cerca di far rinascere delle cose morte destinate all’oblio, dice infatti “Esiste una solitudine più grande di quella di una mummia egiziana catalogata nella nebbiosa Londra, sdraiata nel mondo senza ombra della luce fluorescente?”, compito dell’architetto è di far ritrovare la magia della storia, per questo le cose non vanno sradicate dal luogo in cui sono state trovate. Nel museo di Hamar, il viaggio-racconto è anche un innesto sapiente dell’architettura moderna nel costuire antico, i materiali nuovi come il cemente armato usato per le rampe, crea ancora una volta un dualismo tra passato e presente, che non stride, dialoga…
D’obbligo la spendida citazione di un critico P.O. Fjeld: “Ci troviamo in uno strumento musicale le cui risonanze pervadono l’anima e dove le reliquie, le storie e le speranze saranno protette con cura”.
Fehn ha anche progettato tutto l’apparato espositivo del museo (fig. 10) raggiungendo livelli sublimi di dettaglio nel design.
Fig. 10 Museo arcivescovile di Hamar. Particolare espositivo.
Altra dicotomia che si trova nel suo lavoro è il rapporto interno esterno, potremmo dire dimensione domestica e pubblica, come potremmo dire con Heiddegger l’abitare tra cielo e terra. Fedele alla tradizione nordica dell’abitare Fenh si riallaccia alla citazione di Norberg-Scultz in cui dice: “abitare significa soprattuto … prendere dimora identificare un luogo in cui la vita possa svolgersi tra cielo e terra”. Il luogo dell’architettura è tra cielo e terra non a caso spesso nei suoi schizzi di presentazione dei progetti Fehn traccia una linea l’orizzonte (fig. 11), talvolta l’orizzonte marino, per esaltare questa contrapposizione. E del mare se ne è sempre occupato cercando l’ispirazione nei velieri antichi e nelle navi vichinghe da cui ha tratto l’uso sapiente del legno per le sue articolate coperture lignee.
Come nella casa a Norrkoping, Svezia del 1963,(fig. 12) in cui la copertura prende in fulcro centrale dell’abitazione, con pianta a croce greca, le cui braccia sono orientate secondo i punti cardinali che terminano “con una sorta di nicchie in muratura che adempiono alle funzioni più intime della casa”. (fig.13, 14).
Fig. 11 Casa a Norrkoping Svezia, schizzo.
Fig. 12 Casa a Norrkoping Svezia, Pianta.
Fig. 13 Casa a Norrkoping Svezia, Finestra.
Fig. 14 Casa a Norrkoping Svezia, Interno.
Spesso si è paragonata questa pianta alla rotonda palladiana, e che Fehn sia uno studioso di Palladio non c’è dubbio, ma lo spazio interno della casa svedese è tutt’altro che palladiano: molto flessibile con pareti mobili che cambiano i percorsi e la disposizione della casa a seconda delle esigenze abitative. Ogni parte di questo edificio vive anche di vita propria, il progetto è stato pensato per scomposizione da un forma unica, alle varie parti che se vogliono possono restare compositivamente autonome.
Concludiamo questa breve introduzione all’opera di Sverre Fehn sperando che vi siano altre occasioni di parlare di questo maestro troppo spesso dimenticato dal panorama architettonico internazionale, ricordando una sua celebre frase rilasciata in un’intervista alla fine della sua carriera, “”Per esprimere se stessi si usano idee altrui; io non faccio eccezione. I miei studenti hanno continuamente paura di copiare, ma io dico loro di non preoccuparsere troppo: dobbiamo rallegrarci quando troviamo qualcosa che ci piace, perchè le cose valide sono veramente poche. Se le desideri veramente le puoi fare tue; saperle usare dipende dalla tua personalità.”
Fehn muore nel 2009, all’età di 85 anni.
Bibliografia:
Christian Norberg-Scultz, Sverre Fehn opera completa, Mondadori Electa, Milano 2007.
Paolo Giardiello, Sverre fehn, tra natura e artificio, in “Casabella” n. 635, giugno 1996.
Internet:
Sverre Fehn, Il museo di Hamar, di Michele Costanzo in:
http://www.vg-hortus.it/index.php?option=com_content&task=view&id=360&Itemid=33