
Se due cose si possono dire di Gottried Semper cioè che è stato un grande architetto del suo periodo e anche un grande teorico, non altrettanto facile risulta dire che lui sia così famoso come meriterebbe. Certo alcuni critici moderni lo hanno riscoperto soprattutto per il suo approccio teorico alla questione estetica. Nato ad Amburgo nel 1803 ebbe una vita segnata da un episodio: i moti rivoluzionari di Dresda nel 1849 cui partecipò attivamente anche costruendo barricate che leggendariamente si dicessero fatte così bene da non poter essere penetrate ma solo aggirate. È in questo periodo che Semper si trova a dover fronteggiare un periodo buio per la sua attività di architetto avendo pochissimo lavoro ed essendo osteggiato dalle autorità contrarie ai moti del 1849, fu anche costretto a rifugiarsi prima in Svizzera poi a Vienna.
È qui che comincia a scrivere le sue teorie dell’architettura sull’origine di essa con un carattere nettamente positivista. La capanna come primo segno dell’abitare umano dopo le grotte, si trova in molto suoi scritti, ma, rivoluzionando la nota tesi di Vitruvio secondo cui la capanna di legno fosse l’antenata del tempio greco. (fig. 1)

Tesi sostenuta da molti trattatisti cinque e seicenteschi e mai messa in discussione. In varie occasioni Semper, sia negli scritti che nei convegni andava ad affermare che :” le derivazioni dal motivo fondamentale della capanna siano insignificanti ed ininfluenti per il tempio greco.” Questa idea viene poi radicalizzata nel suo libro più importante Der Stil nel quale il suo rifiuto alla tesi vitruviana è totale:” questo importante dato di fatto elimina una volta per tutte l’oziosa discussione della capanna di legno di Vitruvio come presunto modello e prototipo del tempio greco, della sua forma complessiva e delle sue parti architettoniche.” Su una cosa però Semper sembra sia in accordo con Vitruvio cioè sull’origine del materiale da costruzione: il legno appunto. Alcuni autori del periodo semperiano affermavano d’altra parte che il primo materiale fosse la pietra e non il legno.
Ma a riprova di questa tesi Semper afferma che in varie parti del mondo dall’architettura assira a quella persiana per arrivare a quella cinese il prototipo della colonna è sempre stato il tronco di legno. Anche in Egitto che pure sembra tutto di pietra afferma: l’architettura è “derivata in origine dalla costruzione in legno, o meglio da quella in canne…. I tratti caratteristici della sua origine li mantenne persino nel suo ultimo stadio quello del perfetto stile in pietra.”
La capanna dunque e di legno come prima forma conosciuta di abitazione, il modello Semper lo trova nell’Esposizione Universale del 1851, una capanna caraibica che soddisfa tutti i requisiti della capanna primitiva: tetto in canne di bambù, la struttura portante legata in corde di fibra di cocco, mentre la copertura è composta da foglie di palma. (fig. 2).

Sono i quattro elementi dell’architettura come principi embrionali dell’abitare che hanno dato forma alla capanna: “la produzione di calore e di cibi-quindi l’elemento del focolare- di difesa dall’esterno quindi l’elemento della recinzione, dalle intemperie, quindi il tetto, di difesa dalle inondazioni quindi il terrapieno. Da questi elementi si sviluppano con necessità tutti gli altri…”(L. Scarpa). Il focolare domestico è anche simbolo della sacralità che si manterrà poi come cella principale del tempio sacro nei greci. Un particolare però è da sottolineare nella teoria di Semper, le pareti. Esse nella capanna erano formate non da muratura o legno ma da tappeti, tessuti stesi che dividevano le stanze, siamo di fronte al principio del rivestimento. Da questo principio Semper afferma che le pareti sono sempre state dipinte anche negli antichi e il mito di Winkelmann secondo il quale ” Un bel corpo sarà tanto più bello quanto più è bianco”(…) “il vero sentimento del bello è simile ad un gesso fluido che viene versato sulla testa di Apollo e lo tocca e lo abbraccia in ogni sua parte”. “Il colore contribuisce alla bellezza ma non è bellezza!. ” come scrive nel suo trattato Storia dell’arte nell’antichità”, viene ribaltato. Siamo in presenza del concetto di policromia degli edifici e delle statue greche, il presunto bianco simbolo della purezza classica degli antichi greci, esaltato nel rinascimento ed esasperato nel neoclassicismo canoviano, viene falsato. Alcuni ritrovamenti archeologici dettano le nuove regole, la revisione dei testi classici delle tragedie greche indicano che le statue non erano per nulla bianche ma piene di colori. “Terribile è la mia vita e il mio destino, per colpa (…) della mia bellezza. Oh potessi imbruttire di colpo, come una statua da cui vengano cancellati i colori, e una parvenza brutta invece della bella assumere!» esclama nell’Elena di Euripide la bellissima protagonista, moglie di Menelao re di Sparta, involontaria causa della guerra di Troia. Questa è una tra le molte testimonianze letterarie che si trovano tra le righe delle tragedie e delle commedie dell’antica Grecia. Ancora oggi nell’immaginario comune si pensa alla purezza greca con statue bianche, pure, candide non è così, sono state fatte delle ricostruzioni degli originali e i colori erano molto forti e cangianti. (fig. 3,4).


Semper stesso si cimentò nella ricostruzione policroma del Partenone (fig. 5) con risultati sorprendenti.

La pittura aveva origine ancora più primitive nell’ornamentazione del corpo e nel tatuaggio. E come nel corpo i tatuaggi tendono ad evidenziare le linee di forza dei muscoli, così in architettura il rivestimento dovrebbe, non nascondere ma mettere in risalto le linee strutturali. Quindi ci troviamo di fronte ad un paradosso, il tessuto il rivestimento che dovrebbe coprire la struttura in realtà è suo compito renderla palese, siamo di fronte ad una vera e propria teoria del bello. Come Walter Benjamin nel suo saggio sulle Affinità Elettive, affermava
l’idea del disvelamento diventa quella della sua indisvelabilità” quando “nè l’involucro, nè l’oggetto velato è il bello, ma l’oggetto nel suo involucro”. Insieme delle due cose, solo l’oggetto inteso come involucro e oggetto stesso può essere bello, non entrambi divisi. Il bello sta nel velo e nel velato, non esiste una verità nel bello ma ciò cui si intuisce solo. “
Per Semper dunque l’involucro non copre ma è tuttuno con la struttura. Qui si cela il mistero della bellezza, leggiamo ancora in Benjamin “”La forma del corpo è lo specchio della sua essenza! / Se tu la penetri – si scioglie il sigillo del suo mistero”. Un unicum che tiene insieme due contraddizioni.
L’altro aspetto fondamentale in architettura è secondo la teoria semperiana l’uso dei materiali che non devono tradire la loro essenza, dopo aver visto gli oggetti di design esposte nell’esposizione del 1851, cui Semper fu chiamato ad allestire dei padiglioni, fu rimasto sconcertato dall’uso sproporzionato dell’ornamento e della decorazione, usata per tradire a volte anche la funzione dell’oggetto. “Laterizi, legno e soprattutto ferro, metallo e zinco hanno preso il posto delle pietre squadrate e del marmo, e sarebbe disdicevole continuare a riproporli sotto false sembianze. Si difenda da sé il materiale, e si mostri senza veli nelle forme e nelle condizioni che, in base alla scienza e all’esperienza, si sono dimostrate ad esso più appropriate! Nel mattone si deve vedere il mattone, nel legno il legno, nel ferro il ferro, ciascuno con le proprie leggi statiche” si legge nell’introduzione a Der Stil di Semper, e ancora sull’esposizione del 1851″questa apparente confusione non fa che mettere in luce certe anomalie nell’attuale situazione sociale, che finora non erano mai apparse così evidenti e chiare, con le proprie cause ed effetti, davanti al mondo intero.”
Una lezione questa da imparare anche per molte archistar contemporanee, in cui il materiale diventa solamente una forma da sottoporre al proprio capriccio artistico!!!
Bibliografia:
Heinz Quitzsch, La visione estetica di Semper, ed. Jaca Book, 1991
W. Benjamin, Angelus Novus, Einaudi 1992
Wolfgang Herrmann, Gottfried Semper Architettura e teoria, Electa, 1990
Nicola Squicciarino, Arte e ornamento in Gottfried Semper, Il cardo 1994.
Salvatore Settis, “Statue colorate? Fate finta di niente” in Sole24 ore, 10.02.2013