Barragàn, Astrazioni Metafisiche

“Un’architettura che ci attornia come una presenza fisica semplice e densa, impossibile da descrivere da imitare o da fotografare, universale ed attuale”…Così A. Siza scrive dell’opera di Luis Barragàn in una delle sue innumerevoli monografie. Un architetto particolare Barragàn la cui personalità risulta misteriosa e affascinante. Nato da una famiglia agiata messicana il 9 Marzo 1902 a Guadalajara, avrà una formazione da ingegnere e, pur avendo iniziato la facoltà di architettura non la concluderà per un viaggio lungo in Europa. Personalità intellettuale e avido di conoscenza Luis, sarà per sempre un impenitente scapolo pur essendo attorniato da molte donne, si dice le preferisse molto prosperose, e il carattere della solitudine la si vede e la si percepisce molto nella sua opera matura. Tre sono le fasi in cui si può riassumere il lavoro di questo maestro rimasto pressochè sconosciuto fino all’età di 60 anni, ma tanta fu la gloria e il successo che ebbe nella fase matura da far dimenticare le pur pregevoli prime opere. Una prima fase, la si può idendificare con una architettura fortemente legata alla tradizione coloniale messicana, con ville e case in cui si sente vivace l’influenza dei committenti, ricchi proprietari terrieri provenienti dalle campagne che desideravano ritrovare la serenità e gli spazi che avevano perso anche in città. Dopo questo primo periodo Barragàn si trasferisce a Chicago dove incontra il pittore Josè Clemente Orozco, e lunghe furono le passeggiate e le discussioni tra questi due artisti che trovarono subito stimolante la compagnia l’uno dell’altro. Luis fu influenzato da Ozozco soprattutto da alcuni quadri ad olio in cui il pittore rappresentava case cubiche, massicce e spoglie, in un paesaggio scarno e desolato con una impronta paesaggistica messicana. Siamo nel 1931 e Barragàn si reca a Parigi dove ha occasione di assistere alle conferenze di Le Corbusier, questo darà una svolta ulteriore alla sua ricerca architettonica, dando luogo alla fase cosiddetta razionalista. Realizza case d’abitazione e condomini in puro stile internazionale seguendo diremmo ora la moda del movimento moderno. Riprende da Le Corbusier l’uso delle finestre a nastro, la maniera di organizzare le planimetrie, i tetti piani trasformati in terrazze, l’economia e la sobrietà dei mezzi. Così come altri colleghi messicani si “adagia” allo stile di Gropius, Le Corbusier, Meyer ecc. Ma non tutto gli soddisfa delle avanguardie architettoniche, soprattutto i radicalismi del Movimento Moderno, l’idea della casa come “machine à habiter” non lo convince, cerca il sentimento dell’abitare, arriverà a dire che questa idea è pericolosa per la natura dell’uomo, è una diminuzione della natura dell’uomo. Da qui inizia la terza e più influente fase del lavoro di Barragàn, quella che gli darà la gloria. Nel 1947 costruisce la sua residenza a Tacubaya a Città del Messico, dopo aver comperato dei terreni.(Fig. 1,2)

Fig. 1 Casa studio di Luis Barragan. Dettaglio esterno.

Fig. 2 Casa studio di Luis Barragan. Interno.

Una casa che diventa manifesto della sua architettua e che è patrimonio dell’Unesco. Quasi uno sfogo di creatività e di ricordi, l’abitazione con lo studio, reca tutti i caratteri dell’architettura barraganiana matura. Dalla strada l’abitazione è molto anonima un muro rosa con poche finestre, non si vuole la trasparenze, l’aspetto pubblico rimane fuori, quasi come Loos che diceva che se costruisci in città fai la facciata più spoglia e minimale possibile, in modo che se devi arredare la casa con cattivo gusto fallo nel privato all’interno della tua abitazione, “sii padrone del tuo cattivo gusto”. In Barragan c’è forte questo distanza tra pubblico e privato, solo nel privato l’uomo riceve serenità, pace, una dimensione quasi mistica ha dell’idea di abitare, e il limite è il muro cui viene data la sua primitiva importanza. Quasi manifesto contro le architetture di vetro di quel periodo Barragàn segna il muro come elemento che nasce dalla terra, primordiale, prima ancora che la colonna. Fino a farne radicalmente il solo elemento antropico nel “Il muro rosso a Las Arboledas, 1959”, nell’ingresso al giardino di forte influenza metafisica, in cui sono presenti solo la pavimentazione, il muro appunto e il cielo.

Fig. 3 Il muro rosso.

Suggestione forse ricordata dall’architetto quando disse in una sua intervista: “De Chirico. La magia cho ho sempre cercato l’ho travata in lui. Quando ho visto i suoi quadri, ho pensato che anche io avrei potuto realizzare qualcosa di simile nell’architettura dei paesaggi”. Spesso nelle opere del nostro architetto si respira l’idea metafisica di De Chirico, questi ampi spazi, lunghi silenzi, questa calma, questa serenità profonda, questa interruzione del tempo in un istante, questi cieli azzurri del Messico che fanno da soffitto.(Fig.4)

Fig. 4 Metafisica

 E, probabilmente, il processo mentale creativo di Barragàn è molto simile a quello di De Chirico quando dice che vedeva all’improvviso sotto uno stimolo inteno o esterno la composizione di un quadro, come una sorta di “rivelazione” in cui l’opera si concretizza. Il muro si diceva come elemento primordiale che dà sicurezza, che protegge, che delimita, muro come “limes” tra pubblico e privato, ma anche tra casa e giardino. “L’ortus conclusus” di matrice medievale, ritrova vita nelle architetture di Barragàn, il giardino per lui ha sempre una importanza fondamentale. Giardino come luogo in cui l’uomo moderno può trovare pace e serenità, entrando in esso si entra in un mondo fatto di mistero e fascino, e si da libero sfogo alle creazioni spirituali. Citando Ferdinand Bac, un teorico e progettista di giardini amico e ispiratore di Barragàn che di lui disse “il grande scrittore e artista del paesaggio”; ” un giardino racchiude nel suo interno l’universo intero, rappresenta il prezzo del nostro lavoro, e nell’arte della creazione dei giardini, troviamo tutta la serenità di cui l’uomo è capace”. E’ Luis stesso a ricordarci che i suoi giardini hanno un’inflenza moresca: “un bel giardino è presenza costante della natura ma ridotto a proporzioni umane e messa al servizio dell’uomo. Un giardino perfetto deve contenere l’universo intero. Nei giardini che progettai cercai di raccogliere l’eco dell’immensa lezione di saggezza degli arabi di Spagna.” Una poetica vasta quella del giardino, che, originata in Spagna di influenza araba, la ritroviamo rielaborata in Messico, una poetica che non può fare a meno dell’elemento indispensabile come l’acqua. Non vi è opera di Barragàn maturo in cui non vi sia la presenza del prezioso fluido, ha una forte dignità l’acqua nelle sue opere come elemento evocativo e fonte di memoria: “Ricordo le fontane della mia infanzia:gli scoli dell’acqua superflua delle dighe, gli stagni scuri nel recesso di frutteti abbandonati, i puteali dei pozzi poco profondi nei patios dei conventi, le pìccole sorgenti di campagna, specchi tremanti di antichi alberi giganti amanti dell’acqua e poi, naturalmente, i vecchi acquedotti – eterna memoria della Roma imperiale – che da orizzonti perduti conducono velocemente il loro tesoro liquido per liberarlo insieme ai nastri dell’arcobaleno di una cascata.” (Fig. 5)

Fig. 5. San Cristobal.

Un paragone forse azzardato si può fare con il cinema di Andrej Tarkovskij la cui presenza dell’acqua nella sua filmografia è forse più importante degli stessi personaggi: “L’acqua, i ruscelli, i fiumiciattoli, mi piacciono molto, è un’acqua che mi racconta molte cose. Il mare, invece, lo sento estraneo al mio mondo interiore perché è uno spazio troppo vasto per me. […] A me, per il mio carattere, sono più care le cose piccole, il microcosmo, piuttosto che il macrocosmo. Le enormi distese mi dicono meno di quelle limitate. Forse per questo amo molto l’atteggiamento dei giapponesi nei confronti della natura. Cercano di concentrarsi su uno spazio ristretto e di vedervi il riflesso dell’infinito.” L’approccio all’intimo, al microcosmo agli spazi limitati al privato e diciamo al “silenzio” è lo stesso di Barragàn. Sul silenzio: “”Silenzio: nei miei giardini, nelle mie case, ho sempre cercato di far si che il placido sussurro del silenzio prevalesse su tutto. Nelle mie fontane canta il silenzio”. Una concezione quasi monastica del silenzio, le letture dell’architetto spaziavano da Jauz de la Cruz a San Franceso, da Proust, ma si interessava anche di antropologia culturale, leggeva l’antropologo Miguel Covarrubias per scoprire culture lontane, e il filosofo Edmundo O’Gorman. Questa dimensione del silenzio la si percepisce in tutta l’opera che non grida la “creatività” del progettista, si fa intima, introspettiva, religiosa quasi mitica. Nel 1980 gli fu conferito il Premio Pritzker, e di quella occasione ricordiamo una parte del suo discorso: “”Non si può capire l’arte e la sua storia senza il sentimento religioso e senza il mito di cui è provvisto il fenomeno artistico. Se così non fosse esisterebbero le piramidi egizie? I templi greci? Le cattedrali gotiche? Le meravigliose danze rituali di Haiti, dell’Africa dei mari del sud?”.

Bibliografia:

Antonio Riggen Martinez, Luis Barragan: 1902-1988, Electa, Milano 1996.

Louise Noelle, Luis Barragàn dilatazione emotiva degli spazi, in “Universale di Architttura”, aprile 1997 ed. Testo e Immagine.

AA. VV., De Chirico catalogo della mostra (Padova 20 Gennaio, 27 Maggio 2007), feb. 2007, ed. Marsiglio.

Duprat Andreas, “Ricerca di identità nell’architettura latino americana. Luis Barragàn casa Gilardi”, in Parametro n. 190, 1992

Grima Joseph, “Barragàn’s Ciudad del Mexico”, in Domus n. 899, 2007

Matteucci Rosa, “La casa di Luis Barragàn a Città del Messico”, in Abitare n. 492, 2009. Siti

internet su Barragàn:

http://www.casaluisbarragan.org/http://www.barragan-foundation.org/

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.