Alberto Campo Baeza. Mas con Meno

Alberto Campo Baeza è uno dei maggiori esponenti dell’architettura post franchista iberica, dopo la dittatura, la Spagna ha investito molto nell’edilizia e nell’urbanistica, creando un linguaggio nuovo lontano dal localismo spagnolo e catalano. Un linguaggio puro, astratto nell’architettura, quasi oserei dire concettuale scevro da facili formalismi. Baeza tuttavia rifiuta l’etichetta di “minimalista” che la trova troppo riduttiva, parla della sua architettura come “idea” prima di tutto: “L’architettura è idea che si esprime attraverso le forme. E’ idea costuita. La storia dell’architettura, lungi dall’essere solo una storia di forme, è in fondo la storia delle idee costruite.” scrive nel suo saggio La idea costruida. La architectura a la luz de las palabras. Un’idea alta, platonica oserei dire, che sta sopra la realtà, sopra le forme: “Le forme si distruggono col tempo; le idee invece permangono e sono eterne.” Una concezione che va oltre il tempo, oltre l’eternità. Con uno scopo: il raggiungimento della bellezza, una posizione classicista fortemente classicista, in cui l’estetica è il fine ultimo, “l’architettura deve offrire all’uomo qualcosa di più che è il fine ultimo misterioso ma concreto che è la bellezza”. Conscio del mistero che si cela nella bellezza, Baeza propone un’architettura pura, astratta, un’architettura che negli intenti si accosta al mito neoclassico. L’uso del colore bianco per esempio: “il colore bianco in Architettura è ben più di una pura astrazione.” ricorda quella concezione neoclassica del mito, secondo il quale le opere classiche greche o romane dovevano essere bianche travisando la realtà del colore anche del Partenone, per idealizzare la classicità.

Un’architettura fatto di niente si diceva con pochi elementi strutturali, parafrasando il celebre motto misiano “Less is More”, Baeza va ancora oltre introducento il “Mas con Meno”, indubbiamente Mies van der Rohe è un suo fermo riferimento, così come lo è LeCorbusier e Aalto.

Baeza in uno dei suoi primi progetti: la sistemazione per la piazza del duomo al Almerìa nel 1978, parla di una “architettura senza architettura” in cui propone 24 palme più alte della cattedrale colonne di una navata immaginaria (fig. 1) il cui soffitto è il cielo.

Fig. 1 A. Campo Baeza. Sistemazione Piazza Almeira.

Il luogo meno inquinato e meno antropizzato è il cielo per l’architetto spagnolo, unico spazio possibile nelle sue “chiuse” architetture che potremmo dividere in: ville o case unifamigliari, spazi per il lavoro e musei.

Già nel 1988, Campo Baeza pone le sue basi per un’opera che non sarà camaleontica, rimarrà abbastanza ferma nelle sue basi compositive, con elementi che si ripeteranno adattandosi al contesto. A Madrid costruisce Casa Turègano (fig. 2,3,4) nell’88 si diceva, in cui già troviamo le basi della sua architettura.

Fig. 2 A. Campo Baeza. Casa Turegano. Veduta esterna.

Fig. 3 A. Campo Baeza. Casa Turegano.

Fig. 4 A. Campo Baeza. Casa Turegano Interno.

Un cubo bianco di 10 metri di lato forma archetipa della capanna, che viene scavata da dentro per sottrazione con doppie altezze e luce che diagonalmente taglia la rigida composizione. La luce è un tema importantissimo nell’opera di Baeza, per questa casa egli dice di essersi ispirato a un quadro della National Gallery di Londra di un seguace di Rembrandt (fig. 5) il cui soggetto è la luce stessa che pervade lo spazio obliquamente da alte finestre. Il bianco delle superfici amplificato dalla luce crea queste visioni idilliache di un mondo oltre, la luce scava e smaterializza gli spazi.

Altra opera che diviene quasi un manifesto è la casa Gaspar a Cadice del 1992 (fig. 6,7,8), elementi puri muri bianchi, solidi platonici, e un muro di recinzione.

Fig. 5 A. Campo Baeza. Casa Gaspar, esterno.

Fig. 6 A. Campo Baeza. Casa Gaspar. Corte interna.

Fig. 7 A. Campo Baeza. Casa Gaspar. Corte interna.

Seguendo le esigenze del committente che aveva richiesto assoluta indipendenza Baeza ha creato una sorta di hortus conclusus (fig. 8),

Fig. 8 Hortus Conclusus

anche questo elemento ricorrente nelle successive opere del maestro. L’ortus conclusus era un recinto di origine medievale, un giardino al cui interno si trovava l’albero della vita, se ne trovano le prime citazioni nella Genesi e nel Cantico dei Cantici, spesso simbolicamente rappresentato come giardino di Maria, o luogo del paradiso terrestre. Ma, fuori di metafora, protezione dal pubblico, salvaguardia del privato della domesticità, introversione.

Questo tema è ben sviluppato in casa Moliner a Saragoza, (fig. 9,10,11) opera del 2008 per un poeta e artista, in cui all’assordante rumore della città si oppone un muro divisorio che crea uno spazio chiuso, separato protettivo, una scatola posta su un recinto, centro dell’ortus conclusus.

Fig. 9 A. Campo Baeza. Casa Moliner esterno.

Fig. 10 A. Campo Baeza. Casa Moliner esterno.

Fig. 11 A. Campo Baeza. Casa Moliner corridoio.

Si ribadisce l’uso del bianco di cui Baeza dice: “”é una base solida e sicura per risolvere problemi di luce: per intrappolarla, per rifletterla per farla incidere, per farla scivolare.”(…)

“il miglior Mies van De Rohe, quello di casa Farnsworth, è bianco. Il LeCorbusier più paradigmatico, quello della Ville Savoy, è anche egli bianco.

La luce del Pantheon è bianca, Bernini di sant’Andra è bianco, Terragni casa del Fascio, Wright del Guggenhaim(…)”

Una nuova declinazione del tema della capanna si ha in casa Olnik Spanu a Garrison nello stato di New York, (fig. 12,13,14), una piattaforma che abbraccia l’orizzonte a guarda il fiume Hudson, un basamento scatolare di 37 metri di lunghezza e 16 di larghezza, alto 4 metri con un soffitto calpestabile su cui poggia una tettoia a sbalzo sorretta da 10 pilastri in acciaio.

Fig. 12. A. Campo Baeza. Casa Olnick. Inserimento paesaggistico.

Fig. 13. A. Campo Baeza. Casa Olnick. Veduta esterna.

Fig. 14. A. Campo Baeza. Casa Olnick. Interni.

La tettoia è resa abitabile da una scatola vetrata, che ospita i luoghi del soggiorno e una stanza con opere d’arte contemporanea italiana. Una casa Farnsworth di Mies va de Rohe costruita sopra una solida piattaforma, eppure Baeza se ne discosta, in una conferenza afferma che in questa casa è Mies ma allo stesso tempo non lo è…

L’ultima trasposizione delle architetture di Baeza riguardanti le ville è la casa dell’infinito a Cadice (2014) (fig. 15,16,17), siamo di fronte ad un altare, un volume unico, in cui non vi è più il tema della capanna.

Fig. 15. A. Campo Baeza. Casa dell’Infinito. Veduta esterna.

Fig. 16. A. Campo Baeza. Casa dell’Infinito. Veduta esterna.

Fig. 17. A. Campo Baeza. Casa dell’Infinito. Veduta interna.

Da un’acquaforte di Rembrandt, Cristo presentato al popolo (fig. 18) Baeza trae l’ispirazione per una tribuna affacciata sul mare con il quale dialoga costantemente.

Fig. 18 Rembrant , Cristo presentato al popolo. Acquaforte.

Echi di casa Malaparte di Adalberto Libera sono chiarissimi: la casa incastonata nella natura quasi un prodotto di essa ha una geometria esclusiva, rigida, un tetto praticabile in cui si confonde la linea dell’orizzonte. (fig. 16). Rivestita con grandi lastre di travertino romano il luogo si configura come un’ara punto sacro di incontro tra uomini e dei, la mitologia si incarna in una moderna acropoli. Forse suggestionato dall’artista Michael Heizer e dalla sua opera del 1967 North, East, South, West (fig. 19), il piano orizzontale si svuota e crea spazi in trincea che nella casa dell’infinito sono il lucernario e la piscina.

Fig. 19 M. Heizer. North, East, South, West 1967.

In una scala più ampia Baeza si confronta con i luoghi del lavoro, “evitando ogni efficientismo tecnologico e scontate trasparenze dell’involucro” l’architetto la fa occasione si risistemazione urbana ad una scala architettonica. Il centro BIT a Inca Maiorca del 1995 (fig.20,21,22) ne è una dimostrazione.

Fig. 20. A. Campo Baeza. Centro BIT, Maiorca.

Fig. 21. A. Campo Baeza. Centro BIT, Maiorca.

Fig. 22. A. Campo Baeza. Centro BIT, Maiorca.

Un edificio triangolare, sfruttando il lotto al massimo e creando un muro di protezione dallo scarso panorama di questo sito poco significativo. Un’altra volta un Hortus Conclusus, recintato da Pietra di Mares, il cui basamento viene incavato e vi si crea un piano sotterraneo. Il tema della capanna viene ribadito con una copertura a sbalzo sorretta da una serie di pilasti in acciaio, il primo piano è una serie di teche di vetro che, senza l’infisso del vetro crea una continuità spaziale con la parte a cielo aperto. Lo spazio aperto triangolare è un piccolo frutteto, mentre per rivestire i muri perimetrali sono state scielte piante rampicanti di fiori profumati: gelsomini, glicini e viti, metafora di un giardino segreto aperto alla ricerca.

Ma il cambio di scala più significativo si ha con la costruzione della Sede Centrale della Caja General de Arros a Granada nel 2001 (fig. 23), un rigido monolite cubico con le stesse dimensioni del palazzo rinascimentale di Carlo V eretto nel recinto dell’Alambra.

Fig. 23. A. Campo Baeza. Caia General do Arros

Baeza però ne cambia il modulo, assestandolo sul 3×3 metri, e dando vita ad un edificio che all’interno si svuota e si sottrae lentamente. Infatti un enorme impluvium di luce troviano su due lati interni dell’edificio la cui copertura è sorretta da 4 grosse colonne e come sempre la luce diviene la protagonista della composizione. Ispirato da un quadro del pittore porteghese Guillelmo Peres Villalta, El navigator enterior, (fig. 24) Baeza fa vibrare la luce diagonalmente, dai lucerni della copertura, in progetto pensata senza protezione come nel Pantheon, poi mutata, l’intera corte interna, in ambiente climatizzato.

Fig. 24 Guillelmo Peres Villalta, El navigator enterior.

A nord un fronte è coperto da sottili lastre di alabastro che oltre a riflettere e modulare la luce di giorno, permettono di notte di vedere dall’esterno le sagome che si muovono nella “commedia del lavoro.”

Un opera quest’ultima che accenna alla monumentalità che spesso va insieme al minimalismo, dal quale tuttavia il nostro se ne discosta sempre con fermezza e capacità intellettuale.

Altre opere potrebbero essere citate in questo breve excursus del suo lavoro, sempre pronte a essere pubblicate sulle rivisti patinate di architettura, forse perchè facilmente critiche nei confronti di formalismi esagerati di tanta architettura contemporanea, riteniamo tuttavia la sua architettura molto colta attenta alla storia e al luogo, forse, eccessivamente minimal.

Bibliografia:

Antonio Pizza, Alberto Campo Baeza, progetti e costruzioni, Electa Mondadori, 2004

Articoli di riviste:

 G. Crespi, “Un cubo di luce ai piedi della montagna rossa”, in Casabella n. 697, 2002

 Alberto Campo Baeza, “Un impluvio di luce. Sede centrale della Caja General de Ahorros a Granada 1993 (concorso)”, Casabella 634, 1996

 Giovanni Crespi, “Penombra luminosa, casa Gurrero, Barbate Cadice”, Casabella 754, 2007

 Giovanni Crespi, “Leggerezza e gravità, Casa Olnick Spanu, Garrison, New York”, Casabella 777, 2009.

 Giovanni Crespi, “L’orizzonte dello sguardo, Piazza attrezzata a Cadice”, Casabella 801, 2001.

 Giovanni Crespi, “La casa dell’infinito.”, Casabella 839-840, 2014.

 Pierre Alain Croset, “Tre scuole a Madrid”, Casabella 533, 1987

 Massimo Ferrari, “Memoria e identità andaluse”, Casabella 785, 2010

 Alberto Campo Baeza, “2+2+2 fa molto più di sei”, Domus 797, 2014.

 Raul del Valle Gutierrez, “Continuità e natura. Un’opera recente di Alberto Campo Baeza”, Casabella 681, 2000.

 Sito internet ufficiale

http://www.campobaeza.com/

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